Ricordando Enrico

Il 15 ottobre 2014 Enrico Davolio, nostro Direttore Generale e fondatore di Aeris, ci lasciava prematuramente. Persona profonda e sensibile, cooperatore attento, sempre al fianco dei più deboli, manager capace di grandi visioni, Enrico ha saputo proiettare in avanti la nostra Cooperativa, creando occasioni di incontro, di scambio, di compenetrazione di esperienze, che hanno contribuito a dare forma a una realtà solida che continua ancora oggi il lavoro da lui tracciato.

Dopo la sua dolorosa scomparsa, vogliamo ricordarlo attraverso le parole di un suo poema in versi, che ripercorrono la nascita di Aeris:

"Dir quando inizia la storia è cosa vanaChe le ombre si perdono nel nienteQualche traccia si ritrova nella tanadi tribù antiche nell'estremo oriente.Altre ancora più certe, men confuserisalgono a un passato più recenteAi poeti il simbolo svelano le musenelle saghe degli eroi della Beoziacome risulta da un film della Dusee anche da un Sanremo della OxaInsomma il nome Aeris è assai anticoChe da una recente indagine della Doxa(e se non volessimo copiare il nemico)Potremmo al fiume Adda collegarloe al borgo di Trezzo nostro amico.Altra origine è quella del tarloChe rose il cranio di un qualcunoFino a spingerlo, costringerlo, motivarloE dalla confusa idea passare all'unoE pazzi e soli fondar cooperativaSenza soldi, senza gloria, senza alcunoCriterio o progetto o prospettivaSe non fatica e lavoro e calvarioNella speranza vana e tardivaChe un giorno giungesse anche il salario.Fummo Tangram e lo fummo in pienoCon l'orgoglio che ci dava il divarioTra il nostro fare forte e serenoE quel che allora parea il mondoUn ammasso di profitto e di velenoChe a guardarlo e a vederlo tutto tondoCi si chiedeva chi l'avesse mai pensatoChe in pochi anni si sarebbe andati a fondoDa quel che il sessantotto avea provato.Si era rivoluzionari senza rivoltaSi era ragazzi dal viso emaciatoChe Gesù, non c'era manco una voltaChe il soldo venisse poi diviso!Ma che importa se alla fine della svoltaC'è di un bimbo che sorride il visoChe è felice di quello che gli hai datoE ti avvicina e quasi per incisoTi chiede come se fosse scontatoSe è vera la storia che hai lettoSe ha poi vinto quel principe che hai narratoO se puoi regalargli un pezzettoDel tuo tempo e di parole ancoraAncora un poco di quel caldo affettoChe è come se non ci fosse l'oraÈ come se svanisse il misteroE tu non sai, quasi ti chiedi alloraDove stia il giusto, dove il vero

Che forse sei solo un ladro adessoPerché se vuoi essere sinceroForse hai rubato più di quanto hai concessoPerché quel bimbo al suo silenzio restaE tu te ne vai portando via un successo.Fummo però onesti e fummo senza sostadi sabato e la domenica si lavoravaNon c'era sera, pausa, non c'era festaChe di Natale, se non nevicava,C'era pure alla fiat da andareAd animare, chi se lo aspettava,I figli di chi a lavorareAndava in quel buso di acciaio e di cementoPreparando la sera per desinareLo stesso futuro lo stesso tormentoa quei figli che con noi giocavano.Ma via non è forse il momentodi ricordare, di mormorare invanodi quel tempo bello, sano e fortecome sempre ritorna da lontanoil passato di chi ha per sorteil cambiare, il mutare e il rinnovarsiche è delle cose che non morteamano alla vita ridestarsi.C'era un cinema, un teatro, la libreriaUn via vai di gente un mescolarsiUna sede ad Oreno (mamma mia!)Per fortuna l'ASL ancora assenteChe a ricordare i locali in quella via!La 626? L'igiene? Inesistente.Ci spostammo quando potemmo a VimercateEra ora per il salto tra la genteNella metropoli, tra le strade illuminateCi inventammo i capodanno allo Sbaragliodi ragazzi le masse incanalatetra un rutto, un sospiro e uno sbadiglioa far mattina, a far finta di nientese qualcuno beveva troppo e poi per sbagliomagari mi rompeva un dentenon fingo, lo giuro, è successo,ma era bello anche quel fetenteche m'ha tirato un pugno per eccessosi era grandi, si odiavano i destinisi amava comunque, sempre, lo stesso,figli di Rodari e di Pasolini.Poi venne il momento di andare viaCome accade nelle storie dei bambiniSi cresce e pur con una santa nostalgiaÈ il momento di lasciare quel che è statoIn cerca di una nuova poesiaUn nuovo modo di vivere il passato.
Nacque nel novantaquattro Tangram2.Ora, dire del tutto quel che è statoQuel che portò ognuno per le suea scegliere da solo altre essenzeè come voler poetare a un bueche non ci son mai cause, solo conseguenze,è inutile arrovellarsi nell'ingannonel cercare motivi o divergenzele cose sono solo come stanno,come le pensa un solido pittoreche dove è un chiodo pone un pannoin attesa che passino le oree che asciughi il quadro che ha dipinto.Insomma ci lasciammo senza rancoreCome le coppie di un film finto.Così all'improvviso fummo in cinqueChiusi dentro uno stanzino stintoChi più magro chi alfin più pingueA condividere il nuovo tesoroe ricercare ciò che ci distingueNell'immenso mercato del lavoro.Ma in questa storia che ha momenti tristiChe non concede nessun alloroNon ha nomi, non ha protagonistiSolo persone e amici a non finireUna figura ad essere realistiVoglio comunque rinverdireUna donna forte, aspra e duraCome la foresta che si ama direMa anche dolce Catia e anche puraPer quanto la parola non sia chiaraNon per dir casta, ma per sua naturaDi lei dirò soltanto cosa amaraRubando le parole del poeta"libertà va cercando ch'è si caracome sa chi per lei vita rifiuta".Ciao Catia compagna d'affannoChe non si dica la tua vita perdutaA noi oltre il dolore il dannoDi averti perso quel anno scorsoe non cullare neppure il dolce ingannoDi una vita oltre la morte in soccorsoMa via si parte, si riparte, si va all'assaltoCome nuotando un poco a rana un poco a dorsoImparammo le gare, il progetto e l'appaltoVincemmo, o giungemmo al secondo postoMa in quel mare tanto mosso e tanto altoA sorpresa un giorno di agostoincontrammo pensate un nuovo gruppoaltra gente dal profilo tostoche miravano del sociale allo sviluppo.Eran di Brugherio una cooperativaIncline del pensier al viluppoDi nome Ecate, si, un po' da Diva.

Ci guardammo a lungo un po' in cagnescoMa forse l'anno o un'estate ancor tardivaUn giorno alla fine di un rinfrescoTutti i soci con espresso votoDecisero di unirsi al più prestoSacrificando il nome arcinotoE ad Aeris dare quindi origineCome un sol uomo in un solo motoQuasi ci prese un senso di vertigineLanciandoci in quel nuovo affettoCambiare il nome aumentar la compagineFaceva comunque un certo effetto.Era un buon matrimonio tra sorelleNasceva allora la legge tre due ottoEntrammo nel consorzio Ci Esse ElleDel terzo settore luogo specialeComposto delle cooperative tra le più belleIniziammo a frequentar OffertasocialeLavoro di cui certo non mi pentoPensando a quanto fatto di essenzialeEravamo cinque, poi dieci ed ora centoComprammo anche un camper tutto biancoPagandolo con un leasing assai lento(ma dov'è finito, a cercarlo io mi stanco?).Si fanno ormai lavori tra i più diversigli psichiatrici e i genitori in brancoI disabili, i senza tetto e quelli persiI ragazzi chiusi nei giardiniE quelli il lunedì ancora sversiI bimbi, quelli minuscoli, piccoliniDa cambiare accudire ad ogni momentoÈ un mondo di bisogni ampi e finiUn mondo che a volte lascia lo sgomentoMa non ci ferma non ci toglie il fiatoNon ci piega al sapore del lamentoChe questo mondo certo va cambiatoNon ci stiamo a questo gioco di carteE crediamo ancora che sia un datoChe il tempo è dalla nostra parte.Ora giunge la fine della storiaC'è una sede nuova e si riparteSiamo qui, facciamo baldoriaGodendoci e meritando questa ebbrezzaNon per denaro e neppure per gloriaMa quasi come fosse una carezzaProfessionisti sì, certo, l'abbiamo detto,ma senza mai perdere la tenerezza.Ora che la sera fa il suo effettoTutti vi abbracciamo, ma soprattutto quelleChe come donne han lasciato il tettoE ci insegnano a rimirar le stelle."